Whale’s Tales – Francesco Caligiuri

Giugno 30, 2023
Francesco Caligiuri - Whale’s Tales
AlfaMusic
Producer: AlfaMusic
Number of discs: EAN/ISBN 8032050022260

FRANCESCO CALIGIURI – WHALE’S TALES

Francesco Caligiuri – soprano sax, baritone sax, bass clarinet and recorder

Eugenio Colombo – alto sax, flute and bass flute

Nicola Pisani – soprano sax and baritone sax

Luca Garlaschelli – double bass

Ettore Fioravanti – drums

 

Track List:

  1. Ismael – E. Colombo
  2. The Journey Of Beluga – F. Caligiuri
  3. Anfrent – N. Pisani
  4. The Blue Whale – Infinite Blue – F. Caligiuri
  5. Hunting Killer Whale – F. Caligiuri
  6. Greenland Whale – Artic Passage – F. Caligiuri
  7. Awakening – F. Caligiuri
  8. Vertical Sleep – F. Caligiuri
  9. Leviathan – F. Caligiuri
  10. The Fisherman – F. Caligiuri

 

Francesco Caligiuri play: soprano sax in 4-10; baritone sax in 1-2-5-9; bass clarinet in 3-6-7-8; recorder in 1.

Eugenio Colombo play: alto sax in 1-2-3-5; flute in 10; bass flute in 1-7-8.

Nicola Pisani play: soprano sax in 1-2-3-5-10; baritone sax in 7-8.

Luca Garlaschelli play: double bass in 1-3-4-5-6-9.

Ettore Fioravanti paly: drums in 1-3-4-5-6-9.

 

NOTE COPERTINA WHALE’S TALES

Quella che avete tra le mani non è una banale raccolta di brani accostati semplicemente l’uno all’altro, ma una sorta di concept album intorno ai comportamenti dei cetacei ed al nostro rapporto con loro.

Sì, avete letto bene! Avete tra le mani un bestiario marino in musica. Così la posizione verticale del sonno dei Capodogli ispira il geniale impasto timbrico di Vertical sleep, solenne e grave intreccio di Sax baritono, Clarinetto basso e Flauto basso che caratterizza anche il loro risveglio inquieto in Awakening; un pericolo imminente disturba il loro sonno: l’arrivo del temibile Leviathan sonorizzato in quintetto da un turbolento 5/4.

Il movimento dolce e maestoso della Balenottera Azzurra mentre si nutre diventa il bordone di The Blue Whale, impreziosito dalla magistrale orchestrazione percussiva di Ettore Fioravanti, delicata e fatta di suoni piccolissimi…come il Krill di cui si nutre l’enorme cetaceo.

La micidiale strategia di caccia delle Orche si traduce nelle complesse ed imprevedibili trame di Hunting Killer Whale, mentre i socievoli Beluga sono ben rappresentati dalla frizzante The Journey of Beluga, brano che si riferisce in particolare alle loro migrazioni nell’area del circolo polare artico. L’arco del contrabbasso di Luca Garlaschelli guida sicuro Greenland Whale, quasi un tango storto che allude al “sorriso” buffo della Balena Franca della Groenlandia.

La timbrica aspra e amara di The Fisherman, con le sue tensioni nascoste e quasi subdole, rispecchia l’orrore della caccia alle balene; ma questi meravigliosi animali possono ispirare l’umanità alla creazione di grandi opere come l’arcinoto Moby-Dick di Melville da cui attinge Ishmael a firma di Eugenio Colombo. Dalla penna di Nicola Pisani sgorga invece Anfrent: una balena immaginaria giocosa e barocca, ribelle e rigorosa insieme, perché ogni gioco ha il suo regolamento! A rendere ancor più coinvolgente questo viaggio musicale troverete un racconto di Mauro Zennaro, un testo onirico e profondo. Quella che avete tra le mani dunque è un’opera di parole e musica, curata nei dettagli, appassionata. Godetevela.

CARLO CIMINO

RACCONTO

Ho fatto un sogno. Mi sembrava di dormire in verticale. Il sonno in piedi non mi ha ristorato ma poco dopo, preparando il mate, ho sentito arrivare l’energia. Metto subito un po’ di musica, come sempre, e canto, ma mi accorgo che la sola melodia non mi basta. Nel sogno la mia voce è più voci. Non ho un pianoforte (rari, da queste parti) e allora cerco le note sul mandolino, il dottor Onéiros me ne ha prestato uno, lui ne ha diversi, e pizzicando le corde a vuoto il suono si avvicina a quello del sogno. Muovo le dita sulla tastiera, trovo altri suoni. Il mandolino fa note brevi, ci vorrebbe un organo. Bisognerebbe cantare, ma vorrei più voci, io ne ho una sola.

Ho fatto un sogno. Mi sembrava di dormire in orizzontale. Il mio corpo era accarezzato dal vento e restavo immobile, come se il mare fosse solido. Normalmente non sento le onde, giusto un vago dondolio, ma noidondoliamo sempre. Navi e barche vanno e vengono, noi le sorvegliamo, non si sa mai. Le barche m’incuriosiscono. Specialmente il traghetto: a bordo c’è sempre qualcuno che ci guarda, ci indica, non sa se spaventarsi o gioire. Se sento che non c’è pericolo salto su, canto, sbuffo, schizzo in aria e mi rituffo, loro si divertono, si muovono come noi, quando fanno il bagno e ci vedono dalla spiaggia ci imitano battendo lemani sull’acqua, si tuffano, ridono, cantano.

Anche oggi piove. Non è un temporale, non c’è violenza, la terra assorbe l’acqua, è tutto verde, la pioggia è delicata ma incessante, ho quasi sempre mal di testa. Inutile cercare di ripararsi, al chiuso l’aria è più umida che fuori, un vapore costretto e denso, esco e vado sulla spiaggia. Non so perché adesso ne ho voglia, a casa se piove me ne guardo bene, in spiaggia si va per prendere il sole, fare il bagno, cercare le capelonghe con la bassa marea, oppure dall’altra parte, in Laguna, quando è stagione di moéche, come adesso, o a pescare i go e i barboni. Qui ci sono pesci diversi dai nostri. Sono buoni lo stesso, solo che li affumicano: fanno una buca per terra, ci mettono la brace e coprono tutto con un telo di plastica. Non sopporto più tutto quell’affumicato, l’odore di plastica, mangio quasi solo verdura. In spiaggia non c’è puzza, anche le alghe marcite sanno di buono. Chiudo gli occhi e mi ritrovo nel sogno, mi pare di dormire in verticale, l’acqua è accogliente. La pioggia mi fa sentire in mezzo al mare.

Nel sogno mi pare di riposare su un fondale sabbioso e bassissimo. È l’alba e tutto è quieto. Il fondale basso mi piace: strano, perché mi hanno raccontato di sorelle che ci si sono incagliate. Perché ci sono andate? Hanno perso la bussola? È un posto lontano, non si vede la Croce del Sud, nessuna di noi c’è mai stata. È unmare piccolo. Nel sogno un’isola lunga e stretta, dall’altra parte una laguna, nella laguna alcuni canali profondi, molte barche, tutte innocue. Ogni tanto il fondale affiora e forma delle barene, ci sono molti uccelli. Gli uccelli mi piacciono, quando sto a galla vengono a becchettarmi la schiena, mangiano quello checi cresce sopra e mi grattano delicatamente. Per questo me la godo a starmene a galla, sdraiata, anche se in verticale dormo meglio. Sono visibile, può essere pericoloso, ma ogni tanto anche il sole e gli uccelli fanno piacere. Nel sogno mi sdraio sulla sabbia e non ho paura. Qualcuno canta. Una voce sola, elementare. Suoni escono da corde che vibrano. Io e le sorelle cantiamo diversamente.

Nel sogno ho un nome, un suono breve, una nota, direi un La (un po’ poco, come nome). Ho sorelle. Con una in particolare, Mi, andiamo proprio d’accordo, una relazione positiva, compiuta. Si avvicina un fratello, Do, e l’accordo si completa, il mare si distende, ma poi piove, anche in profondità, l’acqua trema: arriva Dodiesis. Do e Dodiesis possono stare insieme solo per poco, generano tensione, l’acqua diventa elettrica. Si assomigliano, forse per questo uno dei due se ne deve andare, come rivali in amore, non ricordo chi resta, poi si aggiungono altri nomi. Quando ne ho abbastanza salgo a prendere il sole. Arrivano i gabbiani, si posano leggeri sulla mia schiena a becchettarmi. Normalmente l’idea di un gabbiano che mi si appollaia addosso e mi becca mi farebbe paura e mi darebbe il voltastomaco. Uffa, lo stomaco, tutta quella roba affumicata. Il mate mi ha fatto bene, fra un po’ me ne torno a casa a farmene un altro. All’inizio mi pareva ripugnante, ma qui un caffè come si deve non c’è, me l’avevano detto che avrei dovuto portarmi la moka. Cimancava giusto quella, ho già il sacco a pelo, la tenda, tonnellate di libri. Mi gratto la schiena. Un dolorino fra le scapole. La, mi, do e do diesis sul mandolino le trovo subito, i nomi del sogno. Poi ne cerco altri.

Nel sogno sto dritta come quando dormo, ma tutta fuori dall’acqua, eppure non affondo, è strano ma gradevole. Percorro la battigia a cercare molluschi. C’è il sole. Sono piccola, se i gabbiani venissero a becchettarmi la schiena mi ferirebbero. Risalgo la spiaggia, passo attraverso la pineta, mi trovo in una stradina in mezzo alle case, persone mi salutano. Una canta: «Vieni in barca?». Buffo: io alle barche ci passo sotto, non ci potrei salire neanche se volessi, sono troppo piccole e di quelle grandi non mi fido, a parte il traghetto. Dalle mie parti «salire in barca» vuol dire una brutta cosa. Ma le dico di sì.

Ho nostalgia di casa. Chiloé è bellissima, ho visto le balene e i pinguini, però è aprile, è arrivato l’autunno econtinua a piovere. Nel sogno nuoto fino all’Adriatico in mezzo ad altre balene. Mi piacerebbe che a Pellestrina venissero le balene, che entrassero dalle bocche di porto e arrivassero a Sant’Elena e a San Marco. Starebbero bene insieme ai bragozzi, ai sandoli e alle gondole, piuttosto che quelle navi. I gabbiani vengono a becchettarmi la schiena, in genere non li sopporto – una volta uno mi ha rubato al volo iltramezzino che avevo in mano, mi è preso un colpo e ho rovesciato il bicchiere di vino – invece nel sogno mi piace molto. Vado a zonzo per la Laguna di primavera, arrivo davanti a San Michele, dove sono sepolti antenati e antenate. Nonno e nonna invece hanno voluto che le ceneri fossero sparse in Laguna, ogni volta che monto sul sandolo li saluto. Ora ci nuoto in mezzo. Canto insieme alle sorelle, ognuna una nota diversa. Io canto il mio La, le altre si aggiungono per armonici progressivi. Le piccole sono sax soprani, le vecchie contrabbassi, i colpi di coda la batteria, ma anche voci più acute e più gravi, che nessuno strumento riesce a fare. Non ho mai sentito una musica così. A casa mi faccio un altro mate e provo a cercarla sul mandolino. Note e nomi si moltiplicano.

Non c’è mare senza navi. Qualcuna a volte ci segue. Alcuni canti raccontano di sorelle che hanno fatto una brutta fine, dicono «Arriva l’arpione!»: anche se nuoti velocissima, sbatti pinne e coda e fai mille capriole,non riesci a togliertelo dalla carne. La nave attende.

Quando non ce la fai più e risali ti fa a pezzi. Per questo me ne sto alla larga, a parte il traghetto, che conosco. Nel sogno, invece, le barche sono amichevoli. Ci sto sopra, ho “mani”, spingo un “remo”. Niente arpioni. Davanti a me voga Mi. Cantiamo. È una bella giornata, la Laguna è grande, dopo il tramonto appare la Stella Polare.

Nell’acqua non respiro, ma l’aria che ho dentro sembra poter durare all’infinito. Non sono in affanno, mi piace soffiare fuori quello che ho nei polmoni. Faccio capriole, sbatto la coda, canto, salto, sbuffo, schizzo in aria e mi rituffo. Un mucchio di allegria. Nel sogno diffido delle barche. Eppure sono la mia passione, in regata vado forte, alla remiera sono una piccola celebrità. Nemmeno dell’oceano mi fido: il dottor Onéiros, che è mezzo indio mezzo greco e mezzo non so che, mi ha raccontato di Caleuche, la nave fantasma governata da marinai morti. Leggende, lo so, ma mettono ansia. Al risveglio mi manca l’acqua.

Sognare di salire in barca è brutto segno? Ero contenta, mi piaceva quella vita strana. Le barche mi affascinano, le trovo simili a me quando sto a galla a farmi becchettare, mi aspetto che s’immergano ma se ne stanno lassù e poi se ne vanno. Su qualcuna vedo persone, su altre no, mi chiedo cosa ci sia dentro. A volte vinco la ritrosia e mi avvicino, vorrei scoprirlo, è più forte di me.

Nel sogno c’era una nave che si avvicinava e mi faceva paura. Non era il traghetto, che quando arriva è sempre una festa, piuttosto una nave da guerra che mi puntava i cannoni addosso. Sapevo di poter nuotare più veloce di lei, volevo rintanarmi in profondità, ma non riuscivo a muovermi. È un sogno comune, pare lo facciano tutti. Al risveglio avevo un dolore tra le scapole, come quando passavo tutto il giorno su una sedia per finire la tesi, la vecchia scoliosi che si riaffacciava, poi ho fatto un po’ di yoga e adesso la passeggiata sullaspiaggia mi sta rimettendo al mondo. Oggi la pioggia non mi dà fastidio. Ho salutato il dottor Onéiros, beato sotto il portico col suo mate. «Già in piedi?», mi ha chiesto, «lo vuoi un mate?». Ho rifiutato: no, grazie, l’ho già preso, ora ho bisogno di camminare. «Come va il mandolino?». «Bene, grazie, sto facendo progressi.Glielo riporto più tardi». «Ma no», ha risposto, «Tienilo quanto ti pare». «Oggi parto, torno a casa». «E allora portalo con te. Fagli conoscere il mondo. Dalle vostre parti è primavera». Poi ha aggiunto: «Tutto bene?». Sì, gli ho detto, solo un po’ di mal di testa. «Dormito male?». «No… insomma, così così. Ho fatto un sogno strano». «Un sogno d’acqua?». «Sì. Ero una balena». «Lo facciamo tutti, qui, prima o poi, quando arriva l’autunno. Per questo hai quel dolore fra le scapole». «L’ha sognato anche lei?». «Ogni tanto». «Perché qui lo fate tutti, quel sogno?». «Non lo so.

Forse per ricordarci vecchie colpe. Fatti una passeggiata, c’è tempo per il traghetto. Dal traghetto riuscirai a vedere le balene».

Una volta ho sentito quel canto. L’acqua rossa, in lontananza la nave e il corpo immobile, legato, ci salivano sopra con le asce, tagliavano, caricavano i pezzi sul ponte. Invece ora ho sognato di stare sopra una barca e di essere felice. Le sorelle cantano: «Diffida dei sogni!». Non ci credo, non fanno male. Era bello vogare in laguna, piccola, all’aria, cantare quel canto elementare. Il traghetto ha appena lasciato Chiloé col solito codazzo di albatri e gabbiani. Sarò imprudente, ma mi piace avvicinarmi, le persone mi vedono, agitano lebraccia, mi salutano. Io canto, salto, sbuffo, schizzo in aria e mi rituffo. A loro piace. Canto per loro.

Suono il mandolino. Insomma, “suono”: più che altro strimpello. Il dottor Onéiros è stato gentile a regalarmelo. Cerco le note, i nomi. Le corde vibrano, quando trovo i nomi del sogno vibrano le dita, poi tutta la pelle. Non piove, fa freddo ma preferisco starmene sul ponte, dentro mi manca l’aria. Siedo con la schiena appoggiata allo zaino, non sento più quel dolore. Aveva ragione il dottor Onéiros: si vedono le balene. Mi alzo e mi avvicino alla murata, il mandolino a tracolla, la tracolla tutta colorata. Per un momento desidero diessere in mezzo a loro, come nel sogno: canto, salto, sbuffo, schizzo in aria e mi rituffo.

Una è vicina. Col mandolino le dico: «Sta’ attenta, sorella: a distanza! Non ti fidare delle navi!». Lei invece si accosta. Canta. La saluto agitando le braccia. Ci allontaniamo, sparisce all’orizzonte. Ora ho freddo. Rimetto il mandolino nella custodia, che non prenda freddo pure lui. Rientro. Mi ci vuole un bel caffè. Dal profumo, direi che qui lo fanno proprio come si deve.

 

MAURO ZENNARO

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